Ma il direttore di «Basilicata Soccorso», Libero Mileti, non ci sta e rispedisce al mittente le accuse, spiegando che l’ambulanza satellitare è stata utilizzata diverse volte, in occasione di eventi importanti: dalla visita del Dalai Lama ai funerali della povera Elisa Claps fino alla recente esercitazione anti-sisma. Il sistema montato sul mezzo di soccorso consente di interfacciarsi in videoconferenza con la centrale operativa e, quindi, di veicolare voci e immagini. In pratica ciò che oggi consente di fare uno smartphone, tecnologia che un paio d’anni fa, quando è stata presa in carico l’ambulanza-test, non era ancora stata messa totalmente a punto. Inevitabile la domanda: ma se oggi basta un telefonino dell’ultima generazione cosa ci sta a fare quell’ambulanza che, tra l’altro, non viene utilizzata frequentemente?
«In caso di una grande emergenza – spiega Mileti – spesso le normali vie di comunicazione saltano. I telefoni restano muti. A quel punto il canale satellitare diventa di fondamentale importanza. Mi auguro di non dover mai fare i conti con un terremoto di forte intensità, ma non possiamo escludere tale eventualità. Per questo continuo a tenere l’ambulanza-test».
E allora perché non utilizzarla più spesso? C’è un problema di natura strutturale: l’antenna satellitare posta sul mezzo è alta quaranta centimetri e complica l’ingresso della stessa ambulanza nella «camera calda» del pronto soccorso, cioé quello spazio riscaldato in cui il paziente viene preso «sbarellato». È lo stesso Mileti a farlo notare e ad aver segnalato il caso durante i lavori del nuovo pronto soccorso dell’ospedale San Carlo