Per abbattere le liste di attesa servono più risorse umane e un più efficace utilizzo di quelle esistenti

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La crisi innescata dalla pandemia ancora in atto, oltre ai risvolti sanitari, sociali ed economici diretti, ha inevitabilmente condizionato le liste di attesa per le procedure diagnostiche e terapeutiche non di emergenza/urgenza, già lunghe in molte regioni e strutture, come in Basilicata, in epoca pre-covid. I dati diffusi dall’Istat fotografano una situazione gravissima con la Basilicata al primo posto in negativo tra le regioni italiane con il 51% di riduzioni nel giro di un anno. Sono complessivamente circa 100 mila le visite inevase e circa 40 mila gli esami in attesa di essere effettuati. Il calo di prestazioni nella diagnostica è di meno 59% ; nella terapeutica pari a meno75,4%; nella riabilitazione meno 67,1% e per le visite specialistiche meno 65,4% .

I “freddi” numeri si riferiscono a patologie, anche oncologiche, che a causa del blocco di alcuni mesi delle attività non covid-relate sono arrivate alla diagnosi in stadi troppo avanzati per consentire un trattamento efficace. Questo è dipeso principalmente dalla situazione critica di inizio pandemia caratterizzata dalla carenza di personale, prevalentemente in ambito ospedaliero, dovuta ad anni di politica sanitaria scellerata fatta di tagli di spesa, ma soprattutto sul personale. Tagli che perdurano da circa 15 anni, con l’aggravante di norme che stanno svuotando gli ospedali.

In queste condizioni, nonostante le strategie intraprese dal governo recente per aumentare il personale rapidamente sia sul numero di specialisti (basti pensare ai concorsi ospedalieri ora riservati anche ai medici specializzandi) che di infermieri o oss, l’unico modo di intervenire sulle liste di attesa è quello di utilizzare al massimo le risorse professionali disponibili anche oltre l’orario di servizio dovuto contrattualmente. Per far questo, una delle vie percorribili è proprio l’utilizzo di prestazioni oltre l’orario di servizio in regime di libera professione intramoenia. La libera professione può essere eseguita dal personale medico anche con supporto di infermieri, personale tecnico e oss e si suddivide in due tipologie principali: l’intramoenia e l’extramoenia. In entrambi i casi si tratta di prestazioni rese dal professionista al di fuori dell’orario di servizio dovuto. Nell’extramoenia il professionista non ha un rapporto esclusivo con l’azienda, puo’ lavorare anche in altre strutture, e per questo, pur lavorando lo stesso numero di ore di chi è in rapporto esclusivo, percepisce uno stipendio inferiore secondo logiche contrattuali ormai vetuste e certamente da modificare. L’intramoenia (rapporto esclusivo con l’azienda) inveceè caratterizzato da due tipologie: intramoenia extramuraria nei casi in cui la struttura non disponga degli spazi o delle attrezzature necessarie (che non possono essere le stesse dedicate alle attività ordinarie), oppure intramuraria (esercitata all’interno delle strutture fisiche aziendali, se presenti e se dotate di attrezzature adeguate), modalità contrattuale che consente tra l’altro di far lavorare il professionista al di fuori dell’orario di servizio per rendere ai cittadini prestazioni ordinarie che essi pagano quasi sempre con un costo di poco superiore ad un ticket normale , di cui una parte di queste consistenti risorse è destinata alle aziende pubbliche.

Dalla lettura e comprensione di queste dinamiche normative e procedurali emerge pertanto come oggettivamente l’attività di libera professione dei professionisti sanitari ospedalieri in realtà sia uno strumento che contribuisce a snellire le liste di attesa in un momento di sofferenza per la sanità nazionale dovuta alla pandemia ed al tentativo di emergere da anni di tagli prevalentemente sul personale che sono venuti al pettine come nodi negli ultimi due anni.
L’assessore alla Salute Leone ha annunciato di recente che la Regione si avvarrà delle strutture ambulatoriali private accreditate dalle quali acquisterà prestazioni recuperando risorse destinate alla sanità privata ospedaliera non utilizzate. La UIL e la UIL FPL ritengono che questo non sia sufficiente e che i dirigenti medici che hanno dato tanto in questi mesi, in molti casi anche la vita, in condizioni di lavoro spesso inadeguate e disagiate, meritano rispetto e non possono essere i capi espiatori di responsabilità che sono invece da attribuire a soggetti istituzionali, chiamati a decidere e che invece brillano per il loro immobilismo nel rimandare le scelte. Lo strumento dell’intramoenia, così come l’utilizzo delle strutture accreditate, sono elementi capaci di contrastare l’allungamento delle liste d’attesa. Lo sforzo del governo regionale tuttavia deve avere però come priorità quello di investire sul tecnologie e competenze e soprattutto con l’assunzione di nuovo personale, priorità assoluta per raggiungere questo obiettivo.

Perciò la partenza della Facoltà di Medicina e Chirurgia, che accoglie le tante sollecitazioni che la UIL e la UIL FPL hanno fatto in questi anni, consentirà di investire maggiormente sulle risorse umane e la formazione di giovani medici lucani.

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