Jobs Act e Funzione Pubblica: siamo sicuri che non sia applicabile alla pubblica amministrazione?

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jobs_ActIl tema della flessibilità lavorativa attraversa il dibattito politico-giuridico da più di venti anni. Proprio quest’anno con l’approvazione del Jobs Act e dei suoi decreti attuativi si può affermare che si è arrivati alla conclusione di un percorso che ha cambiato definitivamente i connotati della “disciplina del lavoro” e dei diritti dei lavoratori.

Occupazione-occupabilità, lavoro garantito-flessibilità, sono solo alcuni termini che ci fanno capire come è cambiato il modello lavorativo e i criteri su cui si informa. Negli anni si spesso si è fatto riferimento al lavoro pubblico come una sorta di “isola felice”, mondo granitico e impenetrabile, dove il tempo si è fermato alle conquiste del periodo 69-78, poco influenzato dai cambiamenti che avvenivano nel resto del mondo del lavoro, tanto che nella vulgata comune per molto tempo (e forse tutt’ora) si parla dei lavoratori del pubblico come lavoratori “privilegiati”.

Tuttavia, se si studiano in maniera attenta gli interventi legislativi che negli anni si sono susseguiti nella funzione pubblica, ci si rende conto che anche in questo settore la flessibilità non era sconosciuta: una serie innumerevole di interventi legislativi settoriali che avevano dato luogo a fenomeni, anche vistosi, di precarizzazione o di utilizzo ante litteram di modelli “atipici”: precariato, utilizzo di lavoratori socialmente utili, di volontari, di collaboratori esterni per periodi indefiniti; questi fenomeni hanno riguardato molte amministrazioni.

È interessante capire le cause di questa accresciuta attenzione alle flessibilità anche nel settore pubblico e, soprattutto, le conseguenze che se ne possono trarre se si considera che l’assimilazione al lavoro privato va bilanciata tenendo conto delle specificità che il settore pubblico conserva.

Le cause principali dell’estensione al lavoro pubblico del dibattito sul tema sono sostanzialmente due:

• la prima è l’unificazione delle regole con il settore privato. La contrattualizzazione del rapporto di lavoro con l’applicazione delle medesime flessibilità valide per il lavoro privato è oggi un dato di fatto; anzi, la stessa idea di un progetto finalizzato a promuovere la conoscenza di strumenti del tutto nuovi è nata a seguito delle modifiche sul lavoro pubblico che hanno rimosso gran parte dei vincoli e delle rigidità preesistenti;

 • la seconda causa è data dalla spinta verso nuovi modelli organizzativi e funzionali, dovuta alle modifiche dell’intero quadro legislativo e alle sollecitazioni provenienti dai cittadini in termini di semplificazione e di accelerazione degli adempimenti e di miglioramento della qualità del servizio.

(Bisognerebbe interrogarsi se gli interventi adottati dai vari legislatori siano stati in grado di migliorare il servizio e migliorare le condizioni di lavoro, ma non è questa la sede per approfondire la tematica).

Dopo questa breve ma doverosa ricognizione passiamo ad affrontare il nodo centrale dell’approfondimento. Il Jobs Act non può essere applicato in alcun modo al lavoro pubblico?

Attraverso una attenta analisi dei decreti attuativi della legge delega 183/2014 (Jobs act), l’art. 1 del decreto n 22/2015 ci pone di fronte ad alcune riflessioni importanti:

“1.  Per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo è disciplinato dalle disposizioni di cui al presente decreto. 2.  Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato. 3.  Nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del presente decreto, integri il requisito occupazionale di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente a tale data, è disciplinato dalle disposizioni del presente decreto.”

Il tenore letterale dell’articolo, sconfessa inequivocabilmente la dichiarazioni rilasciate dai i vari rappresentanti del Governo, in merito all’applicazione o meno del cd. Jobs Act ai lavoratori della funzione pubblica: i nuovi lavoratori assunti, che rientrano nella categorie citate nel testo dell’articolo, dovranno sottostare alla nuova disciplina adottata nella legge delega, per cui si applicheranno le norme del contratto a tutele crescenti, e, soprattutto, in caso di licenziamenti illegittimi, si adotteranno le disposizioni che derogano alla disciplina prevista dal vecchio articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, per cui il reintegro obbligatorio del lavoratore sul posto di lavoro, potrà avvenire solo nei casi di licenziamento discriminatorio. In tutti gli altri casi di licenziamento illegittimo disciplinati dalla legge, il reintegro del lavoratore da parte del giudice non sarà obbligatorio.

Infine, il punto 3 dell’articolo 1, ci consegna un ulteriore elemento chiarificatore: Nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del presente decreto, integri il requisito occupazionale di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente a tale data, è disciplinato dalle disposizioni del presente decreto.

Ciò significa che se il datore di lavoro, in conseguenza di nuove assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del presente decreto, raggiunge la soglia dei 15 dipendenti, accadrà che a tutti i lavoratori (“anche se assunti precedentemente a tale data”) si estenderà la disciplina prevista nel decreto in materia di licenziamento illegittimo (reintegro obbligatorio solo nel caso di licenziamenti discriminatori).

Tale disciplina potrebbe applicarsi anche ad aziende della pubblica amministrazione qualora rientrassero nella fattispecie appena descritta.

Questa breve analisi, ci conferma che non esiste un applicazione tout court del Jobs Act per quanto riguarda il comparto pubblico, ma che sarebbe altrettanto sbagliato pensare che non ci sia alcuna commistione tra la disciplina prevista dal decreto legislativo 165/2001 (testo unico pubblico impiego) e quella prevista della legge delega 183/2014; quello che emerge è proprio che su una disciplina “delicata” com’è quella dei licenziamenti, di fatto il Jobs Act ha sostituito le vecchie norme previste nel pubblico impiego.

L’impressione è che il Governo abbia voluto utilizzare solo alcune norme della nuova disciplina del lavoro in relazione al pubblico impiego, affinché svolgessero una funzione di coordinamento con quella che sarà la riforma della P.A. in discussione in questi mesi in Parlamento.

                                                                             Collaboratore sportello del lavoro precario

                                                                                            Corizzo Salvatore

 

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