Il regalo di Natale del Governo ai lavoratori della P.A.

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unnamedA ridosso dell’approvazione del “Jobs Act” e anche in altre occasioni, il Ministro Madia ha specificato in più occasioni che la nuova disciplina del lavoro non si sarebbe applicata al comparto della Funzione Pubblica, in attesa di una riforma organica in grado rinnovare l’intera disciplina.

Tuttavia, nelle ultime settimane, la Corte di Cassazione attraverso una importante sentenza, è arrivata a conclusioni, diametralmente opposte rispetto a quelle del Ministro e di altri esponenti dell’esecutivo. Con la sentenza n. 24157 del 2015, lo Statuto dei lavoratori riformato dalla legge Fornero deve essere applicato al pubblico impiego. La stessa cosa dunque potrebbe valere per le nuove norme contenute nel Jobs Act.

 Nello specifico, la vicenda parte dal licenziamento di un dirigente di un consorzio pubblico siciliano, dichiarato illegittimo in giudizio perché stabilito da un solo componente dell’ufficio disciplinare. L’ente pubblico ricorrente chiedeva però anche di pronunciarsi sull’estensione del nuovo articolo 18, modificato inizialmente dalla legge Fornero, ai dipendenti pubblici.

La Suprema Corte, chiamata a valutare l’estensione ai dipendenti pubblici della riforma dell’articolo 18 approvata nel 2012, ha evidenziato che non esiste, nella legge Fornero, una norma che consente di escludere l’applicabilità del principio, contenuto nell’articolo 51 del testo unico sul pubblico impiego, che assoggetta lavoratori pubblici e privati allo stesso regime sanzionatorio in materia di licenziamenti. La sentenza non si occupa direttamente della nuova disciplina prevista dal contratto a tutele crescenti, quindi se ne potrebbe desumere che la disciplina prevista del Dlgs. 23/2015 non si applica ai lavoratori della pubblica amministrazione, ma tale lettura si scontra con il fatto che nel Jobs Act non c’è traccia di una norma che limita l’applicazione del regime del contratto a Tutele crescenti ai soli lavoratori del settore privato, inoltre nella sentenza i giudici della Corte affermano testualmente:  lo Statuto dei lavoratori, con le sue successive modificazioni e integrazioni – si applichi anche – alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti” . Quindi, si potrebbe sostenere che la nuova disciplina sui licenziamenti con il conseguente “alleggerimento” dell’articolo 18 è immediatamente applicabile per i lavoratori della pubblica amministrazione.

Su questa conclusione si trovano in accordo giuslavoristi ed economisti di estrazione politica-sindacale estremamente eterogenea, a conferma di quanto venga ritenuta pacifica tale conclusione.

Dalle pagine del Fatto Quotidiano del 2 dicembre, Umberto Romagnoli, professore emerito di diritto del lavoro all’Università di Bologna, partendo dalla recente sentenza della Corte di Cassazione afferma “E’ sempre stato ovvio che l’articolo 18 vale anche ai dipendenti. Politicamente è una materia scottante, ma giuridicamente non c’è mai stato alcun dubbio”; nell’intervista, quando viene fatto notare al giuslavorista che la sentenza della Corte di Cassazione si riferisce solo alla riforma dell’articolo 18 introdotta dalla legge Fornero, e se tale discorso vale anche per il Jobs Act, la risposta non dà adito ad interpretazioni: “Il discorso vale anche per il Jobs act? Assolutamente sì. Nella riforma manca un’esclusione esplicita dei lavoratori pubblici dalla nuova disciplina dei licenziamenti. E nel silenzio della legge, l’abolizione dell’articolo 18 si applica anche agli statali”. Insomma, tutti i dipendenti pubblici assunti dopo il 7 marzo 2015 possono essere licenziati senza possibilità di reintegrazione.

Sulle pagine di un sito online in tempi non sospetti (il 6 agosto 2015) il senatore Pietro Ichino affermava in maniera laconica: “Dove non c’è una disciplina specifica, si applica la disciplina generale, e quindi il Jobs Act”. Ingaggiando su questo punto un aspro scontro politico con altri esponenti del partito democratico.

Infine, l’eventuale non applicazione dell’articolo 18 riformato nei confronti dei lavoratori pubblici, (come auspicato sia dal Ministro Madia, ma anche dal premier Renzi), aprirebbe un problema di costituzionalità, in quanto si creerebbe una discriminazione tra i lavoratori pubblici e privati, in primo luogo per la violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione.

In questo senso, le dichiarazioni dei giorni scorsi del ministro Madia sono un segnale importante: dopo aver negato per mesi l’esistenza del problema, il Ministro ha annunciato che ci sarà un chiarimento interpretativo nella riforma del lavoro pubblico in corso di completamento.

In attesa di chiarimenti, si può affermare che la sentenza n. 24157 del 2015 ha affermato un principio che introduce un cambiamento radicale nella disciplina del lavoro all’interno del comparto pubblico dove entra a pieno titolo il sistema della legge Fornero, incentrato sulla tutela indennitaria (e non sulla reintegrazione).

                                                                               Collaboratore sportello del lavoro precario

                                                               Corizzo Salvatore

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