Relazione di Antonio Guglielmi Segretario Regionale UIL FPL di Potenza e Basilicata al IV congresso regionale
Viviamo un tempo difficile da interpretare e da inquadrare nelle categorie consuete. Un tempo che ha visto capovolto il paradigma del prevedibile e del controllabile su cui si sono fondate tutte le ideologie progressiste del passato. Non riusciamo ancora a darci compiutamente una ragione di quel che è avvenuto con quella autentica rivoluzione che chiamiamo globalizzazione. Siamo ancora immersi in una crisi che ha sconvolto l’economia e la geografia del mondo, mandando in frantumi la centralità storica da tanti secoli detenuta da quello che identifichiamo come l’Occidente.
Ebbene questo IV Congresso della UIL-FPL cade nel pieno di questi sconvolgimenti nei quali si consuma anche la capacità dell’Europa e del nostro Paese di concepire in positivo la propria identità e la propria prospettiva. A cominciare da quella che siamo stati abituati a considerare come la conquista di civiltà distintiva e peculiare dell’Europa e del nostro Paese: quello che chiamiamo lo “Stato sociale”.
Quello Stato sociale che ha consentito all’Occidente continentale di realizzare un modello di società improntato alla solidarietà ed alla difesa della dignità delle persone, quali principi e compiti primari dello Stato. Una società costruita con il lavoro, l’intelligenza, l’innovazione tecnologica nella quale le politiche pubbliche, la stessa organizzazione dei servizi e degli uffici pubblici, erano finalizzate all’ obiettivo di assicurare l’accesso di tutti i cittadini alle opportunità di progresso e di benessere, correggendo le distorsioni e gli squilibri che le logiche corsare del mercato e del profitto inevitabilmente producono nei rapporti tra i popoli e tra i ceti sociali.
La grande crisi economica di questi anni è un autentico paradosso della storia. La tempesta che ha investito l’Occidente e le istituzioni del mondo occidentale è stata originata in gran misura dalle distorsioni della finanza internazionale. Il turbocapitalismo ha conosciuto il suo trionfo e il suo fallimento, l’abbandono della produzione manifatturiera e il mito della finanza senza frontiere hanno creato il miraggio della ricchezza senza limiti. Il risultato di questa follia è stato, sì, l’arricchimento smisurato di pochi moloch finanziari internazionali, ma soprattutto l’emergere impetuoso delle nuove economie asiatiche e il ridimensionamento drastico della centralità europea.
Una grande ondata di mutamento sospinta dalla necessità non più rinviabile di dare al mondo un assetto più giusto ed equilibrato, che apra le prospettive del progresso civile a masse sterminate di persone che sinora hanno conosciuto soltanto la fame, la disperazione, la barbarie dello sfruttamento dell’infanzia, le disuguaglianze più disumane ed intollerabili.
Ma la grande crisi invece di rimettere in discussione la vulgata neoliberista e le logiche selvagge del mercato, ha finito per mettere sul banco degli imputati lo Stato e le politiche pubbliche. Sta di fatto che tutte le misure adottate dalle istituzioni finanziarie internazionali, dalla BCE al FMI, si traducono ormai da anni in restrizioni sempre più dolorose alla spesa pubblica. L’Europa ha addirittura imposto a tutti gli Stati l’adesione al cosiddetto “fiscal compact”, con ciò stabilendo un vincolo automatico insuperabile al rapporto tra PIL e deficit dello Stato e producendo di fatto tagli pesantissimi ai bilanci nazionali.
E non c’è alcuna ragione di meravigliarsi se, nella tornata elettorale europea di domenica scorsa, l’onda dell’antieuropeismo ha scosso gran parte dell’Europa politica occupando una quota non irrilevante dei seggi all’Europarlamento. Il fatto che in Italia quell’onda è stata arginata meglio che altrove è una buona notizia per il nostro Paese.
Ma fin quando l’Europa resterà una gabbia di divieti e di restrizioni, sino a quando l’euro sarà una moneta rappresentativa di economie tra di loro fortemente asimmetriche, sinchè la potestà della Banca Centrale Europea è soltanto quella di preservare la stabilità dei prezzi, sarà difficile conservare a lungo la fiducia e la speranza in quella che è stata la costruzione politica più importante del Novecento.
Sono anni che la politica europea e nazionale è racchiusa in una formula famigerata, “Patto di Stabilità”. Sappiamo bene noi cosa significa: tagli, risparmi, riduzione di uffici e servizi, blocco dei contratti, blocco degli investimenti, turnover col contagocce, precariato senza alcun paracadute.
E, come se non bastasse, una discussione tutta indirizzata a rappresentare l’area pubblica come la pietra dello scandalo, il luogo dello spreco, della inefficienza, della sciatteria, e a invocare il suo drastico ridimensionamento come l’unica via di salvezza.
Naturalmente, problemi di razionalità e di efficienza nella pubblica amministrazione ce ne sono, e noi siamo i primi ad averli denunciati da tempo. Né si possono sottacere i tanti e talora odiosi fenomeni di malversazione che hanno contribuito a degradare gravemente l’immagine e il profilo della vita pubblica.
Il degrado del costume politico, i comportamenti scandalosi di arroganza e di immoralità del ceto politico, hanno prodotto un livello di indignazione popolare verso la cosiddetta “casta” e verso gli inauditi privilegi di cui essa ha goduto in tutti questi anni.
Non c’è dubbio, inoltre, che l’abbinamento che viene automaticamente e superficialmente operato tra la pubblica amministrazione e la sfera politica ha acuito l’onda di ostilità verso tutto ciò che è “pubblico” difficile da contrastare.
E qui forse è mancata la forza di ribadire una distinzione. Perchè una cosa sono i cosiddetti costi della politica, sicuramente esorbitanti e insostenibili, oltre che spesso ingiustificabili; altra cosa sono i costi dei servizi pubblici, molto spesso insufficienti e comunque inadeguati alla qualità richiesta per prestazioni utili ed efficaci per la cittadinanza.
Innanzitutto non perdiamo di vista la realtà della quale parliamo, facendo giustizia dei tanti luoghi comuni che ne annebbiano la visione. E, come ci ricorda un documento elaborato dal Centro Studi UIL, non è vero che in Italia i dipendenti pubblici sono troppi: essi rappresentano il 14.8% degli occupati, contro il 20% della Francia e il 19.2% dell’UK. In termini assoluti sono 3.4 milioni contro i 5.5 della Francia e 5.7 dell’UK. Certo, sono maldistribuiti ( il 13% in Calabria contro il 6% della Lombardia), invecchiati, in quanto solo il 10% è al di sotto dei 35 anni (in Francia il 28% ha meno di 35 anni e il 25% in UK), e meno qualificati con un tasso di laureati di appena il 34% contro il 54% dei colleghi britannici. Ma, è bene ribadirlo, sono anche i meno pagati. Con un contorno di precariato oltre ogni livello di sostenibilità (120mila circa, esclusi quelli della scuola, di cui 1000 in Basilicata).
Sia chiaro, noi non siamo e non vogliamo apparire difensori dello status quo, convinti come siamo che una grande riforma della vita pubblica è indispensabile e indilazionabile. Che un nuovo stile di moralità e di sobrietà si impone non solo per le ristrettezze finanziarie incombenti, ma anche per la ricostituzione di un rapporto di credibilità e di fiducia con l’opinione pubblica. Che la politica deve recuperare la sua funzione ed il suo prestigio rifiutando la propria subalternità rispetto al mondo dell’economia e della finanza, ma al tempo stesso rinunciando ad ogni invadenza rispetto all’autonomia dei settori portanti della vita sociale.
Non abbiamo alcun rimpianto della politica tradizionale e dei suoi vizi, ma non possiamo non considerare che l’eclissi e l’alienazione della politica hanno finito per minare alla radice lo stesso principio della rappresentanza aprendo la strada all’irrompere della demagogia populista, e il tutto si è riversato rovinosamente sulla stessa credibilità dei sindacati, ai quali è capitato di passare spesso da difensori riconosciuti dei diritti dei lavoratori a parafulmine della loro delusione e della loro rabbia.
Naturalmente anche il sindacato deve mettersi al passo con i tempi che cambiano ed anche questa tornata congressuale deve accelerare le scelte di rinnovamento del sindacato, riprendendo ed attualizzando l’intuizione innovatrice insita nella formula assunta dalla UIL: il “sindacato dei cittadini”.
Quando il Presidente del Consiglio Matteo Renzi evoca il conservatorismo di certa cultura sindacale tocca un nervo scoperto della nostra realtà e incontra un evidente riscontro di favore nella impazienza dell’opinione pubblica, ai cui occhi la prassi della concertazione appare sempre di più come un esempio classico delle pesantezze e delle complicazioni che rendono faticoso l’esercizio del potere decisionale.
Noi non siamo le vedove sconsolate della concertazione, anche se non possiamo sottacere come sia stata propria essa a salvare il Paese dal collasso finanziario, anzi pensiamo che un ritorno su scala generale ad un rapporto di autonomia conflittuale tra istituzioni e organizzazioni sociali può solo giovare alla piena vitalizzazione della democrazia e ad un superiore protagonismo dei lavoratori.
Renzi però compie un grave errore di analisi quando giudica superflua la funzione positiva della mediazione sociale dei sindacati sottostimando il contributo rilevante che essi possono e devono dare al cammino ed al successo di un vasto e coraggioso disegno riformatore.
Non si può agitare la bandiera del cambiamento contro tutti, senza una netta scelta di campo, senza alleanze sociali, senza una dialettica positiva con il mondo del lavoro e del sapere, con un improbabile ed anacronistico soprassalto di giacobinismo e con un esito scontato di improvvisazione.
Il governo preannuncia per i prossimi giorni un intervento di riforma sulla pubblica amministrazione, l’ennesimo e speriamo finalmente quello appropriato. Aspettiamo di conoscere prima di pronunciarci, ma sicuramente non avremo posizioni preconcette.
Le indiscrezioni trapelate in proposito lasciano prefigurare un impasto eterogeneo di cose positive e di altre per nulla convincenti. Appartengono alle prime la preannunciata riduzione dei centri di spesa, l’impulso all’accorpamento degli enti e la lotta ai costi indiretti della politica, nonchè il tetto di spesa per i dirigenti e la flessibilizzazione del part-time. Appaiono invece del tutto indigeribili per noi le proposte sulla mobilità, sull’ulteriore blocco dei contratti e del turnover, l’autentica scure che calerebbe sulla contrattazione integrativa. Inutilmente provocatoria, infine, la restrizione delle libertà sindacali.
Renzi ed il suo governo devono capire che mobilità non può significare “deportazione” e che ogni forma di flessibilità non può travalicare il rispetto della dignità umana e professionale dei dipendenti. Al tempo stesso, il governo non può ignorare che la contrattazione esige di essere riaperta sul piano normativo, ma anche economico, considerato che il bonus degli 80 euro incide molto limitatamente sui pubblici dipendenti, e che non è tollerabile che lo sgravio fiscale sul salario accessorio, previsto per dipendenti privati, venga negato a quelli pubblici.
Se c’è qualcuno che ha paura delle riforme, quel qualcuno non siamo noi. Anzi, potremmo dire che, quando veniamo invitati a misurarci su un terreno riformatore, ci predisponiamo al confronto con un pregiudizio positivo. Ciò vale a livello nazionale, come a livello regionale.
Anche qui abbiamo salutato con favore l’annuncio del Presidente della Regione Marcello Pittella di voler far iniziare la sua “rivoluzione democratica” proprio dalla “governance locale”.
Noi condividiamo l’assunto da cui egli parte: dobbiamo fare più cose, più velocemente e con meno risorse, poiché queste servono nella lotta alla disoccupazione e per ridisegnare un nuovo modello di coesione sociale.
Ma è chiaro che non si elimina la burocratizzazione che complica e rallenta lo sviluppo senza mettere mano all’impianto istituzionale della Regione. Difatti, nei prossimi mesi, in tema di nuovi assetti istituzionali rischiamo di finire in un gigantesco imbuto. La riforma della Comunità Montane, rimasta al palo, il maxiemendamento Delrio per il superamento delle Province, unitamente al contestuale riordino di tutti gli enti sub-regionali (ARBEA, ARPAB, ASI, ALSIA, Camere di Commercio), rischiano di produrre effetti di instabilità e di paralisi.
Non siamo a battere la grancassa in nome della tanto discussa concertazione, il governo regionale si regoli come crede. Ma è lecito chiedere di conoscere il disegno organico di tante riforme, partendo magari dalla riorganizzazione degli uffici regionali, il cui numero è troppo elevato, dalla riduzione ulteriore delle Direzioni Generali, e dalla valorizzazione delle risorse umane interne, per la copertura degli uffici non coperti.
Riformare e innovare è soprattutto questione di lucidità e di coraggio. Da tempo siamo chiamati a discutere solo di interventi occasionali o di emergenza, si è persa ogni abitudine e attenzione alla organicità dei progetti e delle iniziative. L’ultimo serio intervento riformatore riguarda la legge dei servizi di cittadinanza sociale, ossia l’integrazione socio-sanitaria, e risale al 2007.
Ѐ vero che viviamo tempi convulsi e difficili, ma non dimentichiamo che ancora una decina di anni fa la Basilicata faceva da battistrada al Mezzogiorno che cercava di modernizzarsi, aveva tassi di crescita doppi rispetto al resto del Sud ed era uscita fuori dall’area del cosiddetto Obiettivo 1. Probabilmente le esternalità erano più favorevoli, ma non incidevano certo sulla capacità della Regione di programmare e spendere i fondi comunitari, di promuovere progetti di grande impatto culturale e sociale (ricordate il “computer in ogni casa”?), di introdurre a piene mani modelli di innovazione nelle strutture tecnico-amministrative.
Il sistema socio-sanitario risente ormai fortemente della paralisi dell’attività istituzionale della Regione che speriamo sia finita dopo il voto di domenica scorsa.
La riforma del comparto, infatti, è realizzata a metà se pensiamo che il “ distretto forte” come area socio-sanitaria, capace di incanalare il malato in reti complete ed appropriate è ancora un miraggio. Certo la riorganizzazione della rete ospedaliera è andata avanti , ma molte criticità ancora ne ostacola il cammino, a partire dalla carenza di personale sanitario, dal sovraccarico di richieste di prestazioni improprie, al mancato completamento degli investimenti nelle strutture sanitarie non più sedi di pronto soccorso attivo.
Peccato perché il nostro sistema socio- sanitario ha retto bene l’impatto della crisi finanziaria e, sul piano dei risparmi, ha fatto grossi passi avanti come dimostrano le ottime performance dell’ASM di Matera , dell’Azienda Ospedaliera S. Carlo che, tra l’altro, ha anche ottenuto l’Oscar di Bilancio per l’anno 2013, dell’ASP di Potenza e dell’ IRCCS CROB di Rionero che hanno chiuso quest’anno addirittura con un avanzo di gestione.
Un risultato cui hanno contribuito soprattutto gli operatori con i loro sacrifici, ma anche una spending review mirata a colpire gli sprechi che l’istituzione della Centrale Unica degli appalti e delle forniture dovrebbe dare ulteriore impulso.
Questa è la strada da percorrere poiché non è possibile trascinare oltre il blocco del turnover, nè protrarre all’infinito il negoziato sugli standard e le strutture complesse da cui dipendono poi, a cascata, gli altri livelli di responsabilità.
La sanità lucana ha bisogno di linfa nuova per meglio rispondere alle esigenze dei cittadini e di puntare ancora di più sulle eccellenze.
A questo proposito, negli ultimi anni, non sono mancate le esperienze positive.
- L’Azienda Ospedaliera S. Carlo, per esempio, ha attivato partnership significative con le strutture sanitarie più prestigiose, come quella con il Bambin Gesù, sta puntando sulle sue eccellenze come la reumatologia e sulle nuove tecnologie come il Robot Da Vinci e sta dando l’avvio all’ambizioso progetto del Centro di Riabilitazione di Pescopagano. Numeri importanti, infine, si stanno facendo nella Cardiochirurgia e nell’ Emodinamica che stanno incrementando la mobilità sanitaria attiva. L’ASP di Potenza con il servizio di emergenza urgenza del 118, con il centro dei disturbi dell’alimentazione di Chiaromonte, con l’esperienza dei consultori nella lotta al disagio sociale e all’alcolismo.
- L’ASM di Matera con l’attivazione dell’Emodinamica, la Casa della Salute di Tricarico e il Progetto di Gestioni della Cronicità Territoriale;
- L’IRCCS CROB di Rionero con l’introduzione tempestiva nell’assistenza delle nuove tecnologie (HIFU), l’attenzione alla umanizzazione delle cure e l’incremento dell’attività di ricerca con il deposito di alcuni brevetti. Ciò consente una forte attrazione di pazienti extraregionali e una notevole attività ambulatoriale nelle discipline di pertinenza. Tutto ciò è dimostrato da un elevato peso medio dei D.R.G.
A questo proposito, riteniamo fondamentale incentivare le attività del Comitato Etico Regionale che, tuttavia, dovrà dotarsi di criteri di ripartizione dei fondi per la ricerca finalizzati a premiare soprattutto il ricercatore e gli operatori che vi collaborano, compreso il personale paramedico ed amministrativo.
Accanto a questi elementi incoraggianti rimangono ancora tante criticità.
Non ci sfuggono le difficoltà che si incontrano nel governare e riformare questo sistema che conta circa 7500 dipendenti diretti e altrettanti indiretti. Mille medici convenzionati, oltre un miliardo di euro di fatturato pari al 7/8% del PIL regionale.
Per questo è necessario uscire dalla palude delle indecisioni, fare delle scelte con un occhio attento al rigore della spesa e l’altro alla bontà e all’appropriatezza degli investimenti, che devono puntare sulla ricerca, l’innovazione e la sussidiarietà.
La UIL FPL, proprio perché consapevole di questa sfida, ritiene che il nostro sistema socio sanitario debba reggersi su tre coordinate fondamentali: l’accorpamento, la distrettualizzazione, l’integrazione.
L’accorpamento, partito dalla riduzione delle ASL, deve proseguire per potenziare le eccellenze del sistema e la rete dei servizi sul territorio. La distrettualizzazione come perno del «federalismo sanitario» per la creazione di reti territoriali della salute, avendo particolare attenzione alle aree interne e alla domanda più fragile e vulnerabile. L’integrazione per superare la pesante asimmetria tra la spesa ospedaliera per le cure primarie e i servizi alla persona e alle famiglie.
La UIL FPL è convinta che al primo posto bisogna mettere i servizi alla persona attraverso la loro diffusione ed accessibilità come i poliambulatori, le case della salute, i servizi domiciliari. Ciò potrà realizzarsi se si punta sul “Distretto Salute” che non può non coincidere con gli attuali Distretti Socio-Sanitari di base, o meglio, Distretti di Comunità. Solo cosὶ potranno essere rilanciati anche gli ospedali esistenti che sono tanti sul territorio e che vanno radicalmente riconvertiti. L’integrazione socio – sanitaria, dunque, è la risposta alle esigenze di oggi e a quelle future. Del resto nei prossimi decenni sappiamo che la faranno da padrone il malessere da deprivazione sociale e le malattie invalidanti e degenerative. In Basilicata, per esempio, il 22% della popolazione è over 65 e il 10% di essa, cioè oltre 50 mila persone, non sono autosufficienti.
Perciò, il settore socio-sanitario è in forte crescita anche in Basilicata e con una politica di investimenti attenta integrando sapientemente pubblico – privato si potrebbero creare nei prossimi anni fino a 8 – 9 mila nuovi posti di lavoro e far uscire tanti lavoratori da un profondo stato di precarietà come quelli addetti alla cooperazione sociale. Il sistema socio – sanitario regionale potrebbe essere una grande miniera sul piano dell’occupazione anche per figure altamente specializzate. La nostra Università presenta dati drammatici con una riduzione fino al 50% delle iscrizioni.
A questa fuga di massa concorre lo scarso collegamento tra Facoltà Universitarie e opportunità di lavoro. A questo proposito si sta avvicinando un esodo biblico delle professioni mediche che saranno difficilmente rimpiazzabili. Perciò non è peregrina l’idea di puntare su una Facoltà di Medicina capace di mantenere sul territorio i nostri giovani ed evitare loro anche pesanti discriminazioni che subiscono nelle altre Università. L’Azienda Ospedaliera San Carlo credo sia pronta a fare la sua parte, visto che è fortemente impegnata nell’aprirsi ad altre qualificate esperienze, la Regione può metterci del suo sostegno visto che finanzia in modo consistente l’Ateneo Lucano con il Diritto allo Studio e le royalties del petrolio.
Ma nel mentre riflettiamo sulle tante cose da fare, il nostro pensiero va alla pesante situazione di crisi che vive la Sanità Privata e il Terzo Settore. Don Uva, AIAS, CTR, ecc.., vivono ciascuna con le proprie specificità, una condizione di grande sofferenza ( ne parlerà diffusamente sul suo intervento R. Pisani). Io aggiungo solo che la Regione non può più fare da committente disinteressata, ma deve decidere come affrontare in modo organico queste emergenze.
Care amiche, cari amici, dopo l’unificazione e il grande successo delle elezioni delle R.S.U., la UIL FPL lucana sta volando sul piano organizzativo con una crescita esponenziale degli iscritti. Ma tutte le emergenze che dovremo fronteggiare non lasciano spazio agli autocompiacimenti e ai facili trionfalismi. Il duro lavoro, l’impegno, la serietà, unite alla competenza e all’umiltà, devono continuare a caratterizzare il nostro agire sindacale.
Noi possiamo e dobbiamo essere ancora una speranza per milioni di persone e per l’intera società italiana e lucana. Perciò bisogna pensare a costruire l’unità e la solidarietà tra le forze sindacali, a partire da CGIL e CISL, nella consapevolezza che il cambiamento è inevitabile e auspicabile.
Se vogliamo governare questa globalizzazione sregolata e crudele è necessario che il sindacato si modernizzi, ma recuperi l’ethos originario, quello dei Bruno Buozzi e dei Giuseppe Di Vittorio che concepivano l’impegno nella vita pubblica esclusivamente come servizio e non un modo di arricchirsi o per soddisfare l’ipertrofia del proprio ego.
Il sindacato deve riprendersi il suo ruolo di formidabile strumento di lotta alle disuguaglianze e alle ingiustizie che la stessa globalizzazione sta moltiplicando, senza dismettere il suo impegno progettuale e culturale di massa.
Sì, perché è intorno alla centralità degli utenti, che la pubblica amministrazione allargata deve ritrovare la ragione di sé e la spinta a dialettizzarsi positivamente con la realtà esterna. L’area pubblica deve essere protagonista consapevole di una vera e propria “rivoluzione copernicana”. L’offerta pubblica di servizi non può pensare di conservare una legittimazione autoreferenziale, il suo nuovo paradigma è condensato nelle parole-chiave dell’efficienza, dell’efficacia, dell’appropriatezza.
La nuova civiltà dei servizi al cittadino ed alla persona, come titola il nostro Congresso, è dentro questa sfida del cambiamento, ed è una sfida che non consente dissociazioni né diserzioni.
Rieletto Segretario Regionale Antonio Guglielmi,compongono la Segreteria Franco Coppola, Giuseppe Cardone, Raffaele Pisani, Giuseppe Verrastro, Tonia Labarbuta, Giacinto Gargano. Tesoriere è stato eletto Gennaro Coralluzzo.