Dall’effetto Jobs Act all’effetto Voucher. Dal sogno della stabilità all’incubo del “nuovo” lavoro precario

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unnamedDagli ultimi dati Inps, che danno uno sguardo all’andamento del mercato del lavoro in questo primo scorcio del 2016, fanno emergere in maniera inequivocabile come “l’effetto jobs act” sia ormai esaurito. Il trend positivo che ha attraversato tutto il 2015 mostrava un mercato del lavoro in ripresa, dove le attivazioni dei contratti erano di più rispetto alle cessazioni.

Molti commentatori economici e politici si sono spinti in dichiarazioni eccessivamente entusiaste e con toni roboanti a lodare una riforma del lavoro, piena di ambiguità e contraddizioni. Tali criticità sono state spesso sollevate da tecnici, giuristi del lavoro, sindacalisti, venendo tacciati come “gufi”.

Tuttavia, già in passati articoli di questa rubrica, commentando i dati sul mercato del lavoro che di volta in volta Inps, Istat ecc. riportavano, ho sempre messo l’accento più sulle “ombre” che sulle “luci” che caratterizzavano la riforma del lavoro, rischiando di passare io stesso come un “gufo” agli occhi dei lavoratori e delle lavoratrici di questa organizzazione (cosa assolutamente legittima e comprensibile) e, in alcuni casi mosso da presupposti “ideologici” pur di stroncare una riforma che si presentava come positiva.

Una delle “ombre” della riforma su cui mi sono accanito di più è proprio l’effetto della “decontribuzione” da parte del Governo per favorire le nuove assunzioni, arrivando a definire il mercato del lavoro come “dopato” e chiedendomi cosa sarebbe accaduto nei prossimi mesi man mano che gli incentivi sarebbero diminuiti.

Finalmente la risposta è arrivata tramite l’ennesimo rapporto Inps: dopo il taglio delle agevolazioni contributive, nel primo mese dell’anno le aperture di contratti a tempo indeterminato sono state poco meno di 107mila, in calo del 39,5% rispetto a quanto registrato nel gennaio 2015. Da quest’anno, infatti, la decontribuzione è stata ridotta al 40% con la nuova legge di Stabilità, e la sua durata è stata tagliata da tre a due anni. Le assunzioni ne hanno risentito: considerando anche contratti a termine e apprendisti, i nuovi rapporti di lavoro sono stati 406mila e sono calati di circa un quarto rispetto al gennaio 2015. Dati inequivocabili che svelano l’incapacità da parte dei datori di lavoro di creare occupazione in grado di mantenere i posti di lavoro incentivati dall’effetto “decontribuzione”, e quindi si può affermare che a fronte dell’ennesima elargizione di danaro pubblico da parte dello Stato alle aziende, queste ultime hanno solo sfruttato tali risorse senza creare quelle opportunità di lavoro che le varie organizzazioni datoriali sbandieravano a ridosso dell’approvazione del Jobs Act.

Inoltre, rallentano bruscamente anche le trasformazioni di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato (41.221 a gennaio), -71% e -5% nel confronto rispettivamente con dicembre e gennaio 2015.

Inoltre, quel processo di impoverimento produttivo, ormai in atto da quasi tre decenni, non cambia verso: anche nel 2016, il 74% dei contratti prevedono una qualifica di operaio e il 30% del totale di quelli a tempo indeterminato si concentrano nei settori dei servizi a bassa intensità tecnologica, a basso potenziale espansivo per l’economia. Una quota che aumenta nel tempo, mentre diminuisce la quota di contratti «indeterminati» per occupazioni relative ad attività professionali, scientifiche e tecniche; amministrazione e servizi di supporto.

Per queste professioni ed attività, al contrario, tra il 2014 e il 2016 sono in costante aumento le assunzioni a tempo determinato. Quasi un paradosso, dal momento che sono proprio le attività più qualificate quelle che hanno bisogno di stabilità per intervenire positivamente sulla tanto agognata produttività. Infine, la traiettoria verso un mercato del lavoro più stabile e meno precario rimane lontana. Lo confermano i dati sull’utilizzo dei voucher, in costante aumento. A gennaio sono stati venduti con un aumento del 36% rispetto allo stesso mese del 2015 e del 131% rispetto a gennaio 2014.

Il voucher viene ormai utilizzato in maniera strutturale (cosa anomala per uno strumento nato come occasionale e accessorio) sostituendosi ad altre forme contrattuali ben più consone, ad esempio, ad esprimere preoccupazione sull’utilizzo dei voucher Guglielmo Loy, segretario confederale Uil, dichiara: “Si dovrebbe tornare all’origine dello strumento, occasionale e accessorio. Per questo, bisognerebbe prevedere l’esclusione di interi settori dall’uso dei voucher. Per esempio, il boom nel comparto del commercio, del turismo e dei servizi sta erodendo terreno al lavoro strutturato”.

Da un lato quindi, siamo di fronte a un mercato del lavoro da mungere per riconquistare competitività, agendo però attraverso una redistribuzione incondizionata di fondi pubblici alle imprese private, che sfruttano i margini di risparmio soprattutto in settori incapaci di generare crescita robusta attraverso investimenti mirati.

Dall’altro, gli ultimi interventi legislativi legati al Jobs Act perseverano nell’idea che si possa stimolare la produttività agendo sugli incentivi individuali, attraverso la defiscalizzazione dei premi e i bonus per il welfare, in un’ottica sempre meno universalistica dello stato sociale. Infine, l’avanzata del precariato, rappresentata dall’esplosione dei voucher, non sembra sostanzialmente preoccupare il Governo, che prevede di gestire gli abusi attraverso una stretta sulle comunicazioni dell’utilizzo dei buoni lavoro. A prevalere è l’idea secondo cui lo sfruttamento e il lavoro povero sono da ostacolare solo nella misura in cui nascondano lavoro irregolare e non come circostanza del reale di per sé.

 Praticante in diritto del lavoro e

 collaboratore sportello del lavoro precario

 Corizzo Salvatore

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