A otto mesi dall’introduzione del Jobs Act: un primo bilancio

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unnamedA otto mesi dall’adozione del decreto attuativo dlgs 23/2015 ossia il c.d. contratto a tempo indeterminato introdotto con il Jobs Act, si può fare un primo bilancio degli effetti (positivi e negativi) che tale contratto ha portato all’interno del mercato del lavoro.

Il contratto in questione, sbilancia in maniera sostanziale la tutela del lavoratore in caso di licenziamento, prevedendo il reintegro solo in caso di licenziamento discriminatorio, mentre nei casi di licenziamento economico o disciplinare (i casi più frequenti) si prevede l’erogazione nei confronti del lavoratore di una indennità commisurata al periodo di permanenza sul posto di lavoro.

Alla cartiera Pigna Envelopes di Tolmezzo in provincia di Udine, abbiamo i primi casi concreti derivanti dalla disciplina prevista dal nuovo contratto a tutele crescenti. Circa dieci giorni fa tre operai, assunti a marzo con il contratto a tempo indeterminato sono stati lasciati a casa dall’azienda.

 E’ bastato un calo di produzione, così sostiene l’impresa, e il posto fisso ha evidenziato tutta la sua fragilità. Eppure, la società ha potuto beneficiare dei generosi incentivi previsti dalla legge di Stabilità 2015, che esonerano il datore di lavoro dal pagamento dei contributi per tre anni.

A marzo, la società ha assunto quattro lavoratori con il contratto a tutele crescenti – spiega Paolo Battaino, segretario Uilcom Uil di Udine – Le nuove assunzioni erano giustificate da un aumento di lavoro e dal passaggio a una turnazione a ciclo continuo”, è bastato un calo della produzione per licenziare questi lavoratori, a cui non sarà applicabile la disciplina del vecchio articolo 18, ma solo la previsione dell’indennizzo.

A fronte del licenziamento, comunque l’azienda continua a godere degli sgravi contributivi per i nuovi assunti, pari a 8mila euro per tre anni. Morale della favola: al datore di lavoro risulta conveniente licenziare, vi è sempre un guadagno.

Proprio l’effetto della decontribuzione ci consegna una lente per poter interpretare gli andamenti del mercato del lavoro. Il premier Renzi più volte ha annunciato l’aumento entro fine anno di un milione di posti di lavoro aggiuntivi e stabili, frutto dell’applicazione del Jobs act e della decontribuzione, in grado di incoraggiare l’offerta di lavoro. Come nota in un recente articolo il giuslavorista coordinatore scientifico di Adapt ( istituto di ricerca fondato da Marco Biagi), Michele Tiraboschi, i recenti contratti, “non sono posti aggiuntivi” e “tanto meno posti stabili”.

Per ciò che concerne la seconda affermazione, non c’è bisogno di argomentare tale conclusione, basta l’esperienza dei lavoratori della Pigna Envelopes al fine di corroborare tale posizione. In merito alla prima affermazione, possiamo parlare di una vera e propria “bolla occupazionale” in quanto l’attivazione di rapporti di lavoro con il contratto a tempo indeterminato sono incentivati dal miliardo e 900 milioni disponibile dal 1 gennaio e previsto per il 2015 dalla Legge di stabilità.

Ma questi rapporti di lavoro, sono ex novo o sono delle “trasformazioni” dei vecchi rapporti di lavoro?

Se osserviamo il saldo dello scorso aprile, scopriamo che i contratti sono più di 203 mila. Inoltre l’attenzione sulla dinamica del mercato del lavoro dipendente e parasubordinato, attraverso l’analisi dei dati amministrativi del sistema informativo delle Comunicazioni Obbligatorie, si sofferma sulla diminuzione dell’apprendistato e delle collaborazioni, in verità minima, valorizzando la crescita dei contratti a tempo indeterminato (incremento pari a 16.739 attivazioni), forma maggiormente incentivata e conveniente.

A settembre i dati del mercato del lavoro confermano questo trend: si sono persi 21mila posti di lavoro a tempo indeterminato rispetto ai 4mila a termine. Su base annua poi, i contratti a tempo indeterminato crescono dell’0,8% segnando una lieve inversione di tendenza ma sempre ampiamente distaccati dall’aumento del 4,6% dei contratti a tempo determinato, che continuano ad essere di gran lunga la modalità preferenziale con la quale le imprese assumono.

Insomma, l’inverno sembra averci riportato alla dura realtà del mercato del lavoro italiano, dopo un momento di positivo influenzato dagli effetti (brevi) della decontribuzione e dell’occupazione stagionale estiva; a fronte di 790mila contratti che hanno usufruito della decontribuzione prevista dalla legge di Stabilità del 2015, sono solo 101mila i posti di lavoro in più a tempo indeterminato.

Per concludere, un milione di “nuovi contratti”, prevalentemente stabilizzazioni senza articolo 18, che per i prossimi tre anni non verseranno i contributi alle già deficitarie casse dell’Inps. A fronte di questi dati la domanda da porsi è: cosa accadrà fra tre anni quando l’effetto degli incentivi sarà esaurito?

I numeri stanno disvelando come “l’abito non fa il monaco”, non basta una accattivante strategia comunicativa per risollevare le sorti del paese e dare speranza ai lavoratori (vecchie e nuove generazioni), c’è bisogno di un cambio di rotta reale, che punti a creare nuova occupazione e smetterla di giocare a fare gli “alchimisti” del mercato del lavoro.

       Collaboratore sportello del lavoro precario

Corizzo Salvatore

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