Rimettere in primo piano gli investimenti per la crescita del sud, servono politiche condivise nell’interesse del Paese

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images (3)«Impresa e lavoro nei patti regionali dei Masterplan»

L’iniziativa di oggi non casualmente, è l’esatta prosecuzione dell’analoga iniziativa dello scorso anno, organizzata sempre nello stesso periodo. Non è un caso, perché questi seminari potrebbero anche diventare un occasione annuale di verifica e monitoraggio delle azioni di sviluppo del Sud ma, sia chiaro: il confronto con le parti sociali non si risolve con un incontro annuale e,poi, niente più.

Anche perché il tema dello sviluppo e la crescita del paese, anche come reale antidoto per tenere sotto controllo i conti pubblici, passa necessariamente dalla crescita del Sud d’Italia.

Oggi, e crediamo che questo sia il vero valore aggiunto politico, presentiamo un ulteriore documento congiunto– imprese e sindacati – di analisi e proposte per il Sud , proprio perché siamo convinti che sull’ obiettivo sviluppo di questa parte del Paese non ci debbano essere divisioni di sorta.

Proprio sul Sud, anche negli anni più “divisivi” tra sigle sindacali e imprese, abbiamo comunque prodotto documenti condivisi e unitari.

E questo monito di unità e condivisione lo lanciamo alla politica: è chiaro che ogni forza politica ha la sua ricetta, però quello che è necessario è rimettere in primo piano gli interventi per la crescita del Mezzogiorno che, dopo una troppo lunga fase di “rimozione”, solo da poco tempo sono ritornati ad essere centrali nel dibattito politico.

Sulla crescita del Sud occorre mettere in atto politiche condivise nell’interesse del paese e non della singola forza politica o sociale.

Con un attenzione: per la crescita e lo sviluppo del Sud non occorrono politiche straordinarie, ma proposte economiche concrete di medio periodo valide per tutto  il territorio nazionale che prevedano, però, al loro interno, una maggiore intensità di aiuti e di risorse da destinare al Sud.

Occorre sfruttare i timidissimi segnali di ripresa a cui stiamo assistendo e ridurre i “divari” che separano il Sud dal resto del paese.

Infatti, nel 2015, a fronte di una crescita a livello nazionale dello 0,7% del PIL rispetto all’anno precedente, nel Sud l’incremento è stato dell’1,1%. 

Questo dato indica chiaramente che se il Sud d’Italia inizia a crescere riparte il treno dello sviluppo del Paese.

Ma occorre anche ridurre i divari: Il differenziale negativo del Sud, del PIL pro capite, pur riducendosi di qualche decimale (dal 35% del 2014 al 34,3% nel 2015), rimane molto ampio.

Il PIL pro capite è di 33 mila euro nel Nord-ovest; di 32mila euro; nel Nord-est; di 29 mila euro nel Centro; e 18 mila euro nel Sud.

Così come molto ampio permane il divario negativo tra Sud e resto del Paese (oltre il 31%), della spesa per i consumi delle famiglie (19 mila euro la Nord; 17 milaeuro al Centro e 13 mila euro al Sud).

Questi dati fanno il paio con i dati relativi alla povertà. Il Sud è l’area più esposta al rischio di povertà o esclusione sociale: le ultime stime parlano che le persone in questa drammatica ed inaccettabile condizione sono il 46,4%(in pratica quasi 1 persona su 2), in aumento dello 0,9%rispetto all’anno precedente.

Tornando al tema strettamente del seminario di oggi, se lo scorso anno presentammo un documento che analizzava le linee di indirizzo  del masterplan per il Sud, in quanto si era all’inizio della loro predisposizione,ma quest’anno, a seguito della firma di tutti i patti regionali, abbiamo per ognuno di essi analizzato le azioni previste e le corrispettive risorse evidenziandone i punti di forza e le criticità.

E’ bene chiarire che condividiamo, in linea generale, il metodo di programmazione dei patti, ma notiamo come vi siano molti aspetti da migliorare.

E’ stata importante la scelta dell’integrazione delle diverse fonti finanziarie concentrate sui primi 2 anni che possono consentire una positiva accelerazione della spesa, ma la scelta degli accordi bilaterali rischia di non cogliere appieno  l’esigenza di una azione strategica complessiva per il Sud con il rischio di una frammentazione degli interventi anziché, come necessario, concentrazione degli stessi, di ricadere negli identici errori del passato.

Basti pensare che nel precedente ciclo di programmazione al Sud, su oltre 63 miliardi di euro di spesa monitorata, tra fondi comunitari, fondo sviluppo coesione e PAC,  essa è stata impegnata in oltre 277 milaprogetti (valore medio per progetto di 228 mila euro).

In definitiva, quello che sembra ancora mancare è una chiara visione strategica di come la politica guardi al futuro del Mezzogiorno.

In sintesi occorre guardare al Sud non come la somma di 8 regioni, bensì ad un’unica area, con significativi interventi cha abbiano valenza sovraregionale.

Oggi siamo in presenza di 2 soli strumenti che hanno questa caratteristica: il credito di imposta investimenti, che è oggetto di revisione nel decreto Sud, per renderlo più attrattivo, come richiesto da tutte le parti sociali nel corso della recente audizione; il bonus occupazione Sud dove, però, riscontriamo alcune criticità a partire dal fatto che esso è una misura una tantum e non strutturale con una oggettiva e grave scarsità di risorse per le Regioni in Transizione (Abruzzo, Molise e Sardegna).

Cogliamo, l’occasione per proporre al Ministro che, in caso di insufficienza delle risorse stanziate per le Regioni in transizione,  si possa valutare di utilizzare le risorse del Fondo Sviluppo e Coesione.

Quanto al merito degli interventi presenti nei patti, nel nostro documento che presentiamo oggi, abbiamo riclassificato le differenti azioni e voci di spesa per settori dei singoli patti in maniera tale da renderle omogenee e raffrontabili tra loro, così come abbiamo riclassificato le spese del complesso delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione raffrontandole con gli obiettivi (11 obiettivi tematici), della programmazione dei fondi europei.

Ne viene fuori uno spaccato che vede le infrastrutture, l’ambiente e lo sviluppo economico assorbire l’82%, mentre sono esigui gli stanziamenti per il lavoro, per l’inclusione sociale e per la conoscenza.

Così come appaiono insufficienti le risorse destinate  alla cultura, al turismo, e alla legalità in un area del paese molto “sensibile”.

E’ pur vero che il tema dell’occupazione è trasversale alle varie voci di intervento, ma al Sud occorrono investimenti forti in misure di politiche attive e di occupabilità, in un quadro ancora fragile della rete nazionale, in un territorio che dall’inizio delle crisi (2007), ad oggi ha perso oltre 341 mila posti di lavoro (il 5,3% del totale), nonostante un recupero degli ultimi 2 anni che segnala, per ora, solo una inversione di tendenza. Anche il tasso di disoccupazione è emblematico, nonostante il leggero calo degli ultimi 2 anni: nel 2016 la quota di chi cerca lavoro si attesta al 18,6% (quasi 7 punti sopra la media del Paese), a fronte di un 11% nel periodo pre crisi. Stessa dinamica per la disoccupazione giovanile: nel 2007 il tasso di disoccupazione giovanile al Sud era al 25,3% mentre nel 2016 si attesta al 41%.

Con l’iniziativa di oggi, oltre a presentare proposte e analisi per migliorare i patti, diciamo che, gli interventi per il Sud non si esauriscono certamente solo con i masterplan, seppur importanti, dal momento che essi rappresentano solo una parte degli interventi per la coesione; è vero che essi “valgono” oltre 35 miliardi dieuro, ma rappresentano solo 1/3 della dotazione complessiva per il Sud delle risorse delle politiche per la coesione che ammontano complessivamente, tra risorse europee e nazionali, a 90 miliardi di euro da qui al 2023.

Quando parliamo di crescita e sviluppo del Sud, per noi significa parlare di come promuovere ed incentivare, in questa parte del paese, gli investimenti pubblici e privati.

Certo, per sostenere la crescita nel Mezzogiorno è necessario intervenire sull’immediato, attraverso la capacità di spendere presto e bene le risorse esistenti a attuando rapidamente quanto previsto dai patti, maoccorre pensare concretamente al domani attraverso scelte di politica industriale, di come si declina al Sud il piano di Industria 4.0, o di come si attuano i piani della Strategia della Specializzazione Intelligente.

Ciò perché nel nostro Paese per troppi anni è mancata una credibile politica di indirizzo industriale, unitamente alla mancanza di una visione strategica di medio e lungo periodo delle opere infrastrutturali per la mobilità.

E’ necessario, affinché il termine “nuova politica industriale” non resti uno slogan, avere una buona  dose di coraggio e sano pragmatismo: nel Sud, nel Paese serve una struttura forte in grado di dare un indirizzo al sistema produttivo .

Lo Stato non può abdicare al suo ruolo di programmare e di indicare una strada per una politica di reindustrializzazione manifatturiera e di valorizzazione delle eccellenze presenti nel nostro Sud.

Ma quando si parla di sviluppo, di politiche industriali, di incentivi alla produzione non si può prescindere  dal ruolo delle Regioni e delle politiche regionali di sviluppo.

E a proposito di fondi strutturali europei è pur vero che, purtroppo, ormai essi rappresentano le uniche significative risorse certe nei bilanci delle Regioni per le politiche di sviluppo, ma con essi ci si fa, ormai, un po’ di tutto, quando invece sarebbe importante, come detto, mantenere saldo l’obiettivo della concentrazione delle risorse  e degli interventi.

Tra l’altro con le risorse dei fondi strutturali europei non solo è impensabile che ci si possa fare tutto e c aspettare miracoli in quanto essi, per loro natura, sono ( o dovrebbero essere) risorse “aggiuntive” e quindi dovremo riscoprire la loro natura di “addizionalità” rispetto alle risorse ordinarie.

Un campo cruciale, in un quadro di sostegno agli investimenti produttivi, nei prossimi anni sarà proprio la qualità dell’offerta formativa e universitaria, e l’aggiornamento continuo dei lavoratori e lavoratrici.

Si pensi a tutto il tema di “industria 4.0” dove, oltre ai necessari investimenti in nuove tecnologie, è necessario e fondamentale la conoscenza degli addetti nel campo delle nuove tecnologie in un sistema produttivo a forte innovazione.

Nel contempo, vanno poi, rilanciati nuovi strumenti di “negoziazione programmata”, attraverso la revisione dello strumento dei “contratti di sviluppo” per gli investimenti medio- grandi.

Un occhio particolare va prestato alle cosiddette aree di crisi più o meno complesse. In queste aree è fondamentale mettere in campo un pacchetto coordinato di interventi riguardanti la formazione e riqualificazione dei lavoratori e lavoratrici, l’assistenza alla ricollocazione insieme a misure speciali di protezione sociale in grado di supportare la necessaria transizione tra la necessaria fase di sostegno al reddito  e le azioni d riqualificazione delle comptenze e la ricollocazione.

Si ragiona, spesso, di sviluppo del Sud come se la dimensione dei mercati, la loro accessibilità, il costi dei fattori, il costo del lavoro, i vincoli burocratici o i livelli di tassazione non avessero alcun ruolo. Ma le Regioni Meridionali risultano essere tra le meno attrattive dell’intera Unione Europea e la posizione centrale del Sud nel Mediterraneo rimane ancora oggi una potenzialità non sfruttata (porti, logistica, ecc.).

Per questo va pensata una nuova fiscalità di vantaggio “ossequiosa” delle regole europee sugli Aiuti di Statosenza, però, al contempo, mettere tanti “lacci e lacciuoli”, che spesso nel passato hanno frenato gli investimenti. Vanno  previste sia la istituzione delle Zone Economiche Speciali sia,  interventi sulla fiscalità locale (oggi le aliquote dei tributi locali sono più alte al Sud che nel resto del Paese).

Tutto questo deve, però, essere accompagnato da azioni concrete sulle infrastrutture materiali e immateriali, politiche di protezione sociale rafforzate, ammodernamento della pubblica amministrazione.

Infatti il potenziamento dei servizi essenziali nel Sud rimane un obiettivo prioritario da raggiungere così come l’efficienza e l’efficacia del funzionamento della pubblica amministrazione, ad iniziare dalla capacità di “assorbimento delle risorse” (spesa), in tempi europei risulta fattore decisivo.

Non mi ci soffermo più di tanto per ragioni di tempo, ma nel documento è dato ampio spazio a tale tematica.

Mi limito solo a ribadire che l’ammodernamento della pubblica amministrazione, gli investimenti per il suo funzionamento devono esser percepite  e concepiti come proprie e vere politiche di sviluppo.

Chiudo, ribadendo l’esigenza di rafforzare la “governance multilivello”,  attraverso un maggiore coinvolgimento delle parti sociali con l’obiettivo di migliorare l’efficienza e l’efficacia degli interventi.

Le parti sociali, come nel caso di oggi, stimolano, orientano, suggeriscono interventi ed azioni alla politica ed alle istituzioni ma sono, innanzitutto, protagonisti diretti con le relazioni industriali e la contrattazione nazionale e aziendale. Quindi non solo stakeholder ma protagonisti attivi. Senza imprese e lavoro, senza la rappresentanza sociale difficilmente più nobili obiettivi si potranno raggiungere.

A livello nazionale proponiamo la istituzione di un tavolo permanente tra l’autorità politica della coesione e Confindustria, CGIL, CISL e UIL, che dovrà raccordarsi anche con la cabina di regia per la programmazione del fondo sviluppo e coesione.

Analoga cosa chiediamo a livello regionale estendendo l’esperienza della Regione Calabria, dove nella cabina di regia per l’attuazione del masterplan è prevista la presenza delle parti sociali.

Così come approfittiamo della presenza del Ministro per chiedergli la disponibilità a partecipare ad analoghe iniziative regionali promosse nelle realtà territoriali ed in questo modo dovrebbe risultare più agevole fare per le nostre rappresentanze regionali interventi contenuti nei 3 minuti previsti.

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