Riforma delle pensioni basterà: cosa si cela dietro l’acronimo “Ape”?

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unnamedDa qualche mese ormai, parte del dibattito politico e governativo, si è concentrato sulla proposta di riforma del sistema pensionistico, che ha, come elemento centrale della proposta di riforma, l’istituzione dell’anticipo pensionistico.

Quali sono le luci e ombre di una riforma delle pensioni, presentata dal Governo, come migliorativa della recente riforma delle pensioni attuate dal ministro Fornero.

L’Ape, è l’acronimo che sta per Anticipo pensionistico, progetto sperimentale a cui il Governo sta lavorando per consentire, dal 2017, a chi ha raggiunto almeno i 63 anni di età di andare in anticipo in pensione.

L’operazione coinvolgerà i lavoratori che hanno compiuto 63 anni e 7 mesi di età (62 anni e 7 mesi le donne) a partire dal 1° gennaio 2017. I primi interessati sarebbero, quindi, i nati a partire dalla seconda metà del 1951 sino al 1953. L’operazione verrà attuata con prestiti da parte di banche e assicurazioni attraverso l’Inps, che dovranno poi essere restituiti a rate dagli interessati.

Il meccanismo studiato dal Governo si basa, infatti, su un prestito che deve essere restituito una volta raggiunta l’età pensionabile attraverso un prelievo sulla rata della pensione, applicato direttamente dall’Inps, per i successivi venti anni. Sino al completo rimborso del capitale e degli interessi alle banche che hanno fornito la “provvista” per l’anticipo.

Nello specifico, in una riunione avvenuta nei primi di giugno, il consigliere di Palazzo Chigi, Tommaso Nannicini, ha spiegato che si tratta di una “rata di ammortamento”, come nel caso di un mutuo per l’acquisto di una casa. L’ipotesi del Governo prevede che una banca anticipi l’importo finanziario della pensione netta per gli anni che mancano alla pensione di vecchiaia: una somma che poi verrebbe restituita nel tempo. Una sorta di trattenuta per pagare la rata di ammortamento del prestito di 20 anni con la copertura assicurativa e una detrazione fiscale sulla parte del capitale anticipato “per alcuni soggetti più deboli e meritevoli di tutela”. L’anticipo pensionistico sarà gestito dall’Inps a cui – nell’ipotesi di Palazzo Chigi – spetterà l’onere di creare il rapporto con gli enti finanziari che erogheranno l’anticipo netto della pensione ai lavoratori che certificheranno la richiesta di pensionamento anticipato.

Anche gli statali e gli autonomi potranno accedere all’Ape, l’Anticipo pensionistico pensato dal governo.

Per quanto riguarda i nodi ancora irrisolti del meccanismo – si pensi a chi, pur volendo anticipare l’uscita dal mondo del lavoro, non può permettersi un pagamento rateale dell’anticipo pensionistico – il ministro Poletti si limita a dire che “ci sono alcune situazioni socialmente da sostenere e quelle avranno condizioni diverse dagli altri”, si presume grazie a detrazioni fiscali in grado di alleggerire o compensare in toto la rata del prestito pensionistico. “Stiamo lavorando perché i costi dell’operazione siano più bassi possibile e sulla platea, in modo che ci siano forti agevolazioni”, conferma il sottosegretario di Palazzo Chigi Tommaso Nannicini.

Il tavolo con i sindacati intanto procede: prossimi appuntamenti 28 e 30 giugno con una riflessione sulle pensioni in essere e sulle politiche attive del lavoro. “Stiamo facendo passi avanti”, assicura Poletti. “Abbiamo sviluppato il confronto, delineando perimetri e problematicità, è un buon metodo di lavoro. Ci sono punti convergenti e punti divergenti in questa fase, quale sarà l’esito è frutto del lavoro che stiamo facendo”.

In merito alla proposta del Governo, nei giorni scorsi il segretario della Uil Carmelo Barbagallo ha affermato: “Noi siamo interessati più ad alcuni temi, quelli della nostra piattaforma, il goveno è più interessato all’Ape”. Da queste parole emerge un certo “scetticismo” da parte del segretario generale Uil sulla proposta avanzata dal governo, e sposta la centralità del dibattito sulla necessità di una riforma organica del sistema delle pensioni. Tuttavia non emerge alcuna preclusione al confronto anche sul tema “Ape”, piuttosto un atteggiamento volto a comprendere bene la natura della proposta del Governo.

La proposta è al vaglio dei sindacati ma colpiscono subito due cose. La prima è che, un po’ alla volta, la previdenza pubblica, cioè un salario differito dei lavoratori, entra a far parte della finanza. Diventa debito e come tale genererà interessi e appetiti finanziari, ma soprattutto altererà il rapporto tra i lavoratori in pensione e il proprio salario, sia pure differito. Non più una quota certa e scandita nel corso dell’età pensionistica ma una “rata di ammortamento”, come un prestito qualsiasi.

Questa modifica contribuisce a far perdere la nozione di “salario differito”. La spesa pensionistica, infatti, è ormai assegnata di istinto alla voce “spesa pubblica” oppure “cuneo fiscale e previdenziale” e non viene, invece, computata per quello che è: una parte di salario che non va nelle tasche dei lavoratori ma viene accantonato per la vecchiaia. Così facendo, per quanto la possibilità di anticipare l’uscita dal lavoro sia positiva, si crea un nuovo meccanismo pervasivo. In cui la pensione, più che un diritto, diventa un privilegio. O, peggio, un debito.

Praticante in diritto del lavoro e

 collaboratore sportello del lavoro precario

 Corizzo Salvatore

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