La “guerra” del Governo ai “fannulloni” della P.A.: quanto c’è di vero?

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unnamedIn un’intervista rilasciata qualche giorno fa al telegiornale, il Capo del Governo ha illustrato il “piano” per il contrasto del fenomeno dei “fannulloni” nella Pubblica amministrazione.

Contro abusi sul posto di lavoro di vario tipo: assenteismo, finte malattie ecc., il primo Ministro ha intenzione di passare da una media di 102 giorni per il licenziamento, tanti sono oggi necessari stando alle ultime statistiche della Funzione pubblica, ad appena due. Inoltre nel Consiglio dei ministri nella notte tra il 20 e il 21 gennaio, emergono ulteriori dettagli di come potrebbe cambiare la disciplina del licenziamento, ad esempio: il lavoratore licenziato rischia anche di dover pagare i danni di immagine in caso di condanna da parte della Corte dei conti, dovrà versare non meno di 6 mesi di stipendio. E a rischiare sono anche i “complici”, cioè coloro che abbiano agevolato con la loro condotta il comportamento fraudolento.

Gli ultimi eclatanti casi di assenteismo – si pensi al caso di Sanremo o il caso dei custodi del museo delle arti e delle tradizioni popolari di Roma – fanno pensare ad un fenomeno dilagante, ormai fuori controllo, in grado di far configurare tali atteggiamenti come una consuetudine atavica all’interno della P.a. Tuttavia se si rapporta il numero dei lavoratori impiegati nel pubblico e il numero di procedimenti in merito ad infrazioni ed abusi, ci si rende conto che questo fenomeno è molto circoscritto, infatti su circa 3.000.000 milioni di lavoratori i procedimenti ammontano a 7000 ogni anno. Pur dovendo stigmatizzare e prendere sul serio il problema dell’assenteismo, questi numeri comunque disvelano come sia sbagliato immaginare i lavoratori del pubblico come li raccontava con lucida ironia dissacrante Paolo Villaggio nell’epopea cinematografica dedicata al ragionier Fantozzi.

Nella P.a. cosi come nel privato ci sono sicuramente vari “ragionier Fantozzi e Filini”, così come tante “signorine Silvani”, ma questi possono giustificare un ennesimo inasprimento della disciplina del licenziamento della P.a. tra l’altro già rivista qualche anno fa in maniera “stringente” dalla riforma Brunetta?

Leggendo attentamente l’articolo 55 quarter comma 1 e 2 si può notare che vengono previsti passibili di licenziamento una ampia serie di atteggiamenti che di fatto impediscono la tolleranza di comportamenti che fanno presupporre assenze sul posto di lavoro, riportando testualmente:

a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;

b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione.

Una prima osservazione da fare, e che esula da un piano strettamente giuridico, è che l’ampiezza dei “atteggiamenti” passibili di licenziamento disciplinare rientrano tutti gli atteggiamenti che fanno pensare ad una condotta sbagliata del lavoratore. In questo modo risulta estremamente difficile mettere in atto comportamenti in grado “aggirare” la disciplina.

Dal punto di vista del diritto alla difesa, la previsione del termine del licenziamento entro i due giorni, vanifica quanto previsto dall’art. 55 bis comma terzo, che stabilisce che nel caso di procedimento disciplinare di competenza del responsabile con qualifica dirigenziale l’addebito deve essere contestato senza indugio e comunque non oltre venti giorni e che con la medesima comunicazione il dipendente viene convocato per contraddittorio a sua difesa con un preavviso di almeno dieci giorni.
Qualora la competenza spetti all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari il termine di venti giorni decorre dalla data di ricezione degli atti da parte del responsabile della struttura.

Un eventuale termine di due giorni di fatto violerebbe il diritto alla difesa sancito come principio inviolabile dall’articolo 24 della Costituzione.  Proprio per sottolineare la particolare valenza della inviolabilità che questa norma della Carta costituzionale riconosce al diritto di difesa, la nostra Corte costituzionale ha evidenziato come la necessità di assicurare il diritto di difesa non possa essere sacrificata per esigenze di altra natura, che possono essere la speditezza o l’accelerazione del processo.

Non è un caso se la disciplina dalla legge Brunetta salvaguardava dei termini per il procedimento per mettere al lavoratore di potersi difendere dalle accuse anche attraverso la produzione di memorie.

Dopo questa breve disamina si può giungere ad alcune conclusioni:

1)      La piaga dell’assenteismo sul posto di lavoro per quanto vada presa sul serio, ha dimensioni “sovrastimate” come risulta dei dati riportati nella prima parte dell’articolo;

2)      è prevista una disciplina che sanziona qualsiasi atteggiamento che faccia presupporre un allontanamento del lavoratore dal posto di lavoro;

3)      un’eventuale riduzione dei termini del procedimento, sacrifica un principio inviolabile previsto dalla nostra Costituzione e di fatto sbilancia i rapporti di potere in maniera considerevole a sfavore del lavoratore.

Sulla base di tali conclusioni, rimane il dubbio che tale proposta del Governo, non sia altro che uno “specchietto per le allodole”, pretesto per rendere ancora più gravosa la disciplina del diritto del lavoro e avere ancora più facilità nel licenziare e “alleggerire” le casse dello Stato.

 Collaboratore sportello del lavoro precario

 Corizzo Salvatore

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